Il Bambino con la bicicletta rossa

Maresa Galli

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Il Bambino con la bicicletta rossa, scritto e diretto da Giovanni Meola, interpretato da Antimo Casertano e prodotto da Virus Teatrali, Teatro Insania, è andato in scena in prima assoluta al Teatro TRAM di Napoli, dal 25 al 28 aprile, tre serate sold out.

Da sempre, il drammaturgo getta uno sguardo profondo su tematiche d’impegno civile, con coraggio, passione. Anche in questo lavoro vi è alla base un’accurata ricerca quasi giornalistica delle fonti che hanno permesso di ricostruire le vicende di cronaca con un linguaggio teatrale. Il lavoro è incentrato sul rapimento di Ermanno Lavorini che tanto scalpore fece nell’Italia del ’69, divenendo evento mediatico per poi inabissarsi nel colpevole silenzio di cittadini, istituzioni, media, Paese che entrava nella strategia della tensione, nell’epoca orribile delle stragi e dei depistaggi.

Ermanno Lavorini, dodici anni, rappresenta il primo rapimento di un minore dal tragico epilogo: a Viareggio, a fine gennaio del ’69, il bambino esce come di consueto per una passeggiata sulla sua bicicletta Super Aquila rossa, in un pomeriggio fatale nel quale sparisce. Il suo cadavere verrà ritrovato sulla spiaggia di Marina di Vecchiano.

Lo spettacolo nasce dall’intuizione di un giovane attore, Antimo Casertano, che ricostruisce, con Meola, tutta la storia del rapimento, la sua mediaticità, lo spegnersi dei riflettori. Intenso, fisico, l’attore dà ai diversi protagonisti un volto, una voce, un’espressione diversa che parla per prosa, versi sciolti, anafore, endecasillabi: interpreta il Bambino, il Pistarolo, il Capo, il Playboy, il Ragazzino, il Sindaco, il Becchino, il Colonnello e il Magistrato. Nove voci per raccontare una realtà deformata dalla morbosità e ipocrisia dell’epoca, omofoba, violenta, che preferisce focalizzare l’attenzione sulla Pineta di Ponente, luogo di incontri clandestini, anziché seguire la pista dell’eversione di destra, un disegno politico evidente che emergeva dai fatti, “la prosa della vita”. Il bambino fu rapito per ottenere un riscatto che sarebbe servito a procurarsi armi ed esplosivi per azioni eversive. All’epoca furono accusati ingiustamente personaggi che sarebbero morti per la vergogna: Adolfo Meciani, proprietario di uno stabilimento balneare, arrestato, si impiccò in carcere per la vergogna; Giuseppe Zacconi, figlio del celebre attore Ermete, morì di crepacuore. Lavorini era stato rapito da un gruppo politico locale, il Fronte monarchico giovanile, capitanato da Pietro Vangioni che cooperava con i carabinieri al fine di depistare le indagini. I condannati cambiarono continuamente versione durante gli anni di indagini e detenzione. Grazie al buon giornalismo investigativo e alla testardaggine di un magistrato coscienzioso, dopo quindici anni si venne a capo dei fatti. La ricostruzione del delitto si deve all’inchiesta di Marco Nozza, giornalista de “Il Giorno”, che fa riferimento alle interviste dei “Pistaroli”, giornalisti investigativi che seguirono il caso Lavorini con un’inchiesta autonoma.

Antimo Casertano, a lungo applaudito, mette in scena indignazione, affabulazione, con massimo impegno fisico in un crescendo emotivo che esprime tutto lo sdegno per l’omicidio di un innocente, per la vergognosa mancanza di memoria di cui soffre l’Italia. “Amavo la poesia ma non ho avuto il tempo di studiarla”, confesserà Ermanno prima di porsi alla guida della sua amata bicicletta rossa, che racconta come tutto il mondo abbia parlato di lui senza conoscerlo, e chiedendosi perché sia toccata questa sorte proprio a lui. L’infanzia profanata, l’infanzia delle stragi, l’infanzia sporcata, “perché Ermanno è stato il figlio di tutti gli italiani”. Da lontano, il finto mondo dorato della borghesia che vive un ostentato benessere e frequenta la Bussola e altri locali a la page, alla vigilia del famoso Carnevale viareggino. Di lì a poco, una stagione di sangue: la strage di piazza Fontana, gli attentati ai treni, altri depistaggi.

Un bel lavoro drammaturgico, non facile, per riflettere e indignarsi ancora, da far vedere soprattutto a giovani e studenti: sono loro la speranza di cambiamento, a loro va fatto il dono della memoria.

 

 

 

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