La favola anarchica del potere

Renato Aiello

 

La banalità del male e la favola nera del re caduto: la parabola di Gaetano Bresci, l’anarchico regicida che sparò nel 1900 a Umberto I, Re d’Italia, si condensa in questi due concetti antichi come il mondo. “Gaetano, Favola anarchica”, portato in scena al Teatro Tram di Napoli dal 13 al 16 gennaio 2022, prova a intrecciare la tragedia della Storia con la leggerezza superba della fiaba, in tal caso la novella di Gianni Rodari “A toccare il naso del re”.

Scritto e diretto da Riccardo Pisani, lo spettacolo racconta la vita dell’anarchico Bresci dall’infanzia, forse negata e mai vissuta davvero, alle prime esperienze politiche, dagli amori alla trasferta oltreoceano, per approdare definitivamente all’episodio che segnò la sua esistenza. Un’ispirazione, forse, 14 anni dopo per un altro attentato, quello di Gavrilo Princip all’arciduca d’Austria-Ungheria, motore della Prima Guerra Mondiale.

Una scena dello spettacolo (foto di Amanda Annucci)

Le ideologie malsane del Novecento prendono forma attraverso i discorsi quasi infantili di Bresci, le fantasie legate al mito antico e al sincero desiderio di un cambiamento, di una rivoluzione che però non può che prendere la piega violenta e devastante. Moderno Dedalo e poi Icaro, ma anche novello Prometeo, Bresci si lancia nell’impresa di toccare il naso degli uomini, ovvero conoscerli, deriderli, e poi magari abbatterli: “Non ho ucciso Umberto. Ho ucciso il Re. Ho ucciso un principio” è il proclama finale di Bresci, interpretato sul palco con vigore e intensità da Nello Provenzano. Per principio o per combattere astrazioni sono state commesse le peggiori atrocità nel XX secolo, e cos’è il fondamentalismo islamico se non una prosecuzione ideologica con cui persino il XXI secolo si è inserito nel solco?

Il messaggio della drammaturgia è chiaro e attualissimo, anche alla luce del dibattito sulle libertà costituzionali violate (presumibilmente) per contenere e arginare la pandemia, attraverso gli strumenti messi in discussione da cortei e chat di Telegram. Il grido contro il tiranno e i sogni deliranti di Bresci non possono non far venire in mente gli attacchi recenti alla “dittatura sanitaria”. La maschera del giudice porco, insieme al naso suino di gomma usato per descrivere le “gesta” di Bresci, ricorda quasi orwellianamente che “tutti i nasi sono uguali, ma alcuni nasi sono più uguali degli altri”. Il naso del Re resta l’idea assoluta, il simbolo da distruggere per eccellenza.

 

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